Era davvero tanto che volevo scrivere alcune riflessioni personali e pensieri liberi sul mondo delle Startup e sul growth hacking che ho maturato nel corso della mia carriera come Growth Product Manager e startup mentor.
Sommario
Da Growth Hacker a Growth Product Manager
Dal lontano 2010, quando un quasi sconosciuto ai molti, ma di sicuro non ai tecnici, Sean Ellis ha coniato il termine di Growth Hacker, ad oggi questa figura professionale ha avuto diverse evoluzioni. Io stesso, quasi fin da subito per la verità, mi sono allontanato dal termine hacker per sostituirlo dapprima con marketing specialist e ora con “Product Manager”.
Inizialmente, infatti, il termine “hacker” era spesso associato a qualcosa di magico o ancor peggio a una corrente di pensiero che faceva riferimento a trucchi più o meno legali che permettevano ai prodotti digitali di scalare in pochissimo tempo e spesso in maniera organica.
[IMHO] nulla di più sbagliato! Il lavoro di chi si occupa di Growth non ha nulla a che vedere con colpi di fortuna, trucchetti o magie. Quello del Growth Product Manager è un ruolo radicato nei dati, nei metodi, nella pazienza – come dice il mio amico Raffaele Gaito –, nell’approccio scientifico, nella creatività, nel ciclo di Deming, nella metodologia lean, nei framework agili, nell’approfondita conoscenza del mondo tech e delle fondamenta del marketing, nelle varie forme di comunicazione e nell’economia digitale.Il Growth Product Manager è un mix unico di marketer e sviluppatore, pensatore creativo e analista, giocatore di squadra e leader, e le sue responsabilità principali sono:
- identificare e risolvere tutti i colli di bottiglia che ostacolano la crescita organica del prodotto e la soddisfazione dell’utente;
- identificare e testare varie soluzioni di marketing dentro e fuori il prodotto che possono accelerare la crescita organica dello stesso.
Tutt’ora, quando incontro i vari colleghi “Growth” spesso ci ritroviamo a parlare di quanta confusione c’è ancora sul tema Growth Hacking / Growth Marketing / etc. a distanza di 13 anni dalla sua nascita in Italia.
Ciò che più ci fa “incavolare” sono vari annunci di lavoro di Growth Hacker o Growth Product Manager che quando li leggi fino in fondo ti accorgi che cercano un tutto fare con tre teste e sei mani.
Per fortuna, anche i vari guru internazionali si sono da tempo spostati da una visione “one-man-band” a una più collaborativa e olistica di questa figura professionale inserendola in un contesto ancor più ampio che è quello del Product Management.
Tutto questo anche grazie all’evoluzione del panorama italiano delle startup che inizia a muovere i primi passi verso un ecosistema più professionale che nel 2022 ha fatto registrare un raddoppio in termini di valore rispetto al 2021, ma ancora ben distante dai primi della classe europea: Germania, Paesi Bassi, Regno Unito, Francia e Spagna.
Il panorama delle startup in Italia: sfide e opportunità
Il panorama delle startup in Italia presenta una serie unica di sfide e opportunità, basti pensare che la Francia ha un volume d’affari di quasi 5 volte superiore a quello italiano in tema R&D e Innovazione e che la nostra vicina Spagna sta procedendo a una velocità doppia rispetto a noi in termini di Startup nonostante l’Italia sia la terza nazione in Europa e l’ottava nel mondo come PIL.
I principali problemi sono uno conseguenza dell’altro, quindi difficili da risolvere senza un intervento forte e deciso: da un lato manca un terreno fertile per la crescita di nuove aziende innovative e dall’altra la mancanza di talenti disposti a fare l’imprenditore.
Il risultato è un ecosistema abbastanza piatto e statico che vede una crescita troppo lenta rispetto ad altri stati simili. Una possibile soluzione è quella di incrementare gli investimenti, soprattutto nella fase di accelerazione, al fine di incentivare i molti giovani talentuosi a prendere la strada imprenditoriali invece che quella da dipendenti.
Giovani che, comunque, andrebbero preparati meglio proprio su queste discipline. Andando a guardare i vari corsi universitari in Italia, infatti, non emergono studi approfonditi in tema Startup, innovazione o Product Management. Elementi fondamentali per poter generare l’innovazione di cui abbiamo bisogno riducendo al minimo gli sprechi di risorse e massimizzando i risultati ottenibili.
Quello che proprio non capisco andando ad analizzare i dati – lo sapete che sono un pochino fissato – è perché a livello strategico nessun governo ha ancora capito che l’innovazione può rappresentare il punto di svolta per curare un paese destinato a morire – economicamente parlando visto che abbiamo un debito pubblico che salvo qualche miracolo finanziario, sarà impossibile ripagare.
D’altra parte, gli italiani sono eccellenti innovatori – lo dice la storia non le chiacchiere – e i dati statistici provenienti dai paesi con economie simili a quella italiana confermano che il ROI sul mondo startup è più che positivo:
- Francia: 26 miliardi di investimenti negli ultimi 5 anni per un controvalore di quasi 180 miliardi nel 2021
- Spagna: 7 miliardi di investimenti negli ultimi 5 anni con un controvalore di quasi 60 miliardi nel 2021
L’Italia, come molti più esperti di me dicono, è oggi dov’era la Spagna 5 anni fa, ovvero con investimenti di circa 3,5 miliardi negli ultimi 5 anni, ma con una economia più forte della Spagna e, soprattutto, con una disponibilità di liquidità sui conti correnti a vista – ovvero soldi che non hanno alcuna destinazione – che sfiora l’80% del valore del PIL, ovvero circa 1.500 miliardi di euro.
Forse è proprio qui la soluzione che tutti noi che lavoriamo in ambito innovazione e Product Management stiamo cercando: non attendere che uno stato già soffocato dal proprio debito pubblico si indebiti ancora di più per finanziare la crescita delle startup, ma creare fondi di investimento, società di Venture Capital, reti di business angel e altre forme di aggregazione privata per finanziare le startup più meritevoli. I dati dicono che ce lo possiamo permettere e che è necessario se vogliamo continuare a competere nello scacchiere internazionale.
Occorre informazione e formazione a tutti i livelli: dal sistema bancario a quello imprenditoriale; dalle Università che non sanno sfruttare al meglio i loro talenti per generare delle opportunità di business, alle classi dirigenziali pubbliche e private.
L’innovazione e gli innovatori in Italia hanno bisogno di “carburante” per far funzionare questa gigantesca macchina e tocca a tutti noi prenderci in carico questa responsabilità se vogliamo realmente riprendere il controllo sul nostro futuro.
Il potere degli incubatori
Gli incubatori e gli HUB di innovazione, in questo scenario appena descritto, sono degli elementi fondamentali per far sì che tutta la macchina giri con efficienza. È un po’ come il sistema di istruzione: se nelle scuole primarie non si svolge un lavoro certosino, di qualità e non si danno le giuste basi agli studenti, ecco che questi, quando arrivano alle secondarie o a sistemi ancor più complessi, si schiantano contro delle realtà per cui non sono stati preparati.
Con le startup funziona allo stesso modo: se durante le fasi di pre-seed e seed non vengono seguite adeguatamente, non vengono preparate ad affrontare le sfide più complesse e, soprattutto, non vengono dotate di un bagaglio di risorse minime per competere sul mercato, ecco che il sistema diventa autodistruttivo creando aziende destinate alla sopravvivenza e non alla crescita, bloccando talenti all’interno dei loro sogni nutrendoli solo di speranze e bruciando soldi – spesso pubblici – in attività che spesso servono solo a far guadagnare “due spicci” ai consulenti che girano intorno a queste realtà.
Per le startup, entrare in un incubatore può essere, invece, un vero e proprio cambiamento positivo. Gli incubatori, quelli seri e preparati, offrono infatti delle opportunità chiave:
- forniscono un metodo di lavoro strutturato che permette alle startup di prendere decisioni consapevoli basate su dati e intuizioni;
- offrono l’accesso a una rete di innovatori, mentori e investitori che altrimenti sarebbe troppo difficile da raggiungere autonomamente;
- forniscono una guida da parte di persone più esperte durante le fasi più critiche della vita di una startup aiutandola a evitare le trappole comuni e a sfruttare al meglio le loro spesso scarse risorse;
- forniscono le risorse necessarie in termini di investimenti, spazi, mercato e know-how per validare un progetto di startup minimizzando lo spreco di risorse e massimizzando il risultato ottenibile.
Ripeto ancora una volta: se tutto questo funzionasse bene – e non parlo solo di disponibilità economica-finanziaria – allora sì, ci ritroveremo in Italia con tantissime fucine di innovazione in grado di attrarre e formare i talenti che hanno il complicato compito di costruire e progettare il nostro futuro. Uno strato di sottosuolo adatto a far crescere Unicorni e ad alimentare una crescita economica che l’Italia merita e aspetta ormai da più di 30 anni.
Purtroppo, i dati dicono che in italia stiamo facendo poco e male. Nessun Unicorno o Startup di successo con una valutazione sopra i 250 milioni di euro è uscita da un programma di incubazione e i dati del “Social Innovation Monitor” del 2022 hanno confermato che proprio per questo motivo l’86% degli incubatori svolge attività non riconducibili all’incubazione o accelerazione per reggere i proprio bilanci.
Oltre, quindi, a un salto di qualità in termini di efficacia ed efficienza, un aspetto fondamentale che gli incubatori dovrebbero considerare è l’importanza del ruolo del Growth Product Manager.
Questa figura professionale, come ho già scritto sopra, che combina competenze di marketing, sviluppo prodotto e analisi dei dati, è cruciale per guidare la crescita delle startup con un’ottica user-centered e di Product Management.
Tuttavia, in molti incubatori e acceleratori italiani, questo ruolo è ancora poco diffuso. Le startup che escono da questi programmi spesso non hanno un mindset adeguato, focalizzato sull’utente e sullo sviluppo del prodotto, che è invece fondamentale per competere nel mercato globale. Io, ad esempio, ho perso il conto delle startup che mi contattano perché cercano un mentor in questo ambito. A livello professionale sarebbe anche un mio bene, ma la realtà è che la maggior parte delle volte arrivano senza risorse finanziarie spesso bruciate lungo un percorso mal consigliato.
Gli incubatori dovrebbero quindi fare uno sforzo per integrare le figure di Growth Product Manager e Product Manager nei loro programmi, offrendo formazione specifica e supporto in questo ambito. Solo così potranno produrre startup pronte a scalare in modo efficace e sostenibile, con un approccio che mette al centro l’utente e il prodotto.
Ne gioverebbero tutti, incubatori in primis visto che il loro successo è strettamente legato al successo delle loro startup.
Walky-cup: Concetti da portare a casa
Immagina di riempire il tuo bicchiere con nuove idee e intuizioni. Prima di tutto, versiamo l’idea che il futuro è il Growth Product Manager, un professionista che utilizza dati, metodi scientifici, creatività e una serie di framework per guidare la crescita organica e la soddisfazione dell’utente. Questo è il nuovo volto della crescita nel mondo digitale.
Poi, aggiungiamo l’idea che, nonostante le sfide, l’Italia ha una ricca storia di creatività e spirito imprenditoriale. Abbiamo tutto ciò che serve per spingere il paese al prossimo livello di crescita. Ciò che ci serve è il “carburante” – investimenti, infrastrutture e un ambiente normativo di supporto. Siamo un paese di innovatori, e con le risorse giuste, possiamo far crescere il nostro ecosistema di startup.
Versiamo nel bicchiere l’idea che, nel mondo iperconnesso e interconnesso di oggi, ognuno di noi può ideare e validare un’idea imprenditoriale dalla scrivania di casa sua o da un garage attrezzato con una linea internet, o può aiutare una startup nel suo percorso all’innovazione contribuendo con le proprio risorse – know-how e/o soldi – verso la crescita.
Infine, riempiamo il bicchiere con l’idea che per affrontare le crisi in atto abbiamo bisogno di un approccio su più fronti. Dobbiamo investire in educazione e formazione, promuovere l’imprenditorialità, sfruttare la tecnologia e creare una cultura che valorizzi l’innovazione, la flessibilità e la resilienza. Questa è la nostra sfida, e dobbiamo affrontarla con determinazione e creatività.
Ora che il tuo bicchiere è pieno, ricorda: il futuro del lavoro e delle startup è emozionante. Mentre navighiamo in questo panorama in evoluzione, è fondamentale rimanere adattabili, innovativi e resilienti, evitando giochi di tavolo da “all-in”, ma procedendo a piccoli, ma rapidi passi, guidati da dati e buon senso.
A presto,
Mirko