La diciottesima puntata della mia rubrica di interviste a vari professionisti e imprenditori italiani – che ritengo degni di nota – è con Lara D’argento.
Una collega, una multipotenziale, una Growth Hacker con esperienze internazionali che ha scelto di tornare nella propria città a Bari per lavorare e per dimostrare che il sud ha una marcia in più oltre che un meraviglioso mare.
Colta, solare, competente, professionale, simpatica, “pazzarella” e testarda quanto basta per farsi spazio in un mondo di manager e consulenti uomini.
Durante i tre giorni passati insieme per lo Startup Weekend di Bari del 2021 quello che mi ha davvero sorpreso è la sua straordinaria capacità di entrare in sintonia dopo pochi minuti con i vari interlocutori, che siano essi imprenditori/trici di grande esperienza o ragazzi appena maggiorenni che si affacciano per la prima volta nel mondo del business.
Per tutti questi motivi l’ho scelta per la mia rubrica e le sue risposte mi hanno confermato di aver preso un’ottima decisione! 🙂
L’intervista a Lara D’Argento
M: Qual è il tuo principale punto di forza professionale, la qualità che ti distingue sul mercato?
L: Risulto seria riuscendo a non prendermi troppo sul serio.
Sono consapevole di apportare energia positiva. So che quando entro in una stanza, le persone si sentono a proprio agio e il clima di lavoro è disteso, a prescindere da quanto esigente sia il compito da portare a termine.
So che è piacevole e proficuo lavorare con me e altrettanto lo è uscire dopo a bere una birra.
Quando lavoravo a Berlino, sorridere equivaleva a mostrare un’emozione e mostrare un’emozione equivaleva a rischiare di sembrare debole. Ho sempre ritenuto che fosse una stupidaggine: amo sorridere, e questo nulla toglie alla professionalità e/o alla serietà del mio lavoro; anzi, le incrementa.
M: Cosa o chi ha contribuito in modo significativo nel tuo percorso professionale?
L: Il mio egoismo.
Sono figlia unica, bionda e Sagittario: pleonasmo dell’egoismo. Il resto del mondo, la chiama tenacia.
Ho scelto che non volevo scegliere. Ho un percorso eterogeneo di studi e di lavoro, e volevo trovare il modo di essere pagata per fare ciò che voglio come e quando lo voglio; l’ho ottenuto.
Fondamentale è (stato) il ruolo delle sorelle e dei fratelli che ho scelto lungo il viaggio: le mie amicizie. Capita a chiunque ogni tanto di smarrire la traiettoria. Quando la vista è annebbiata, mi fido degli occhi delle persone che mi vogliono bene.
M: Se oggi dovessi ripartire da zero, ma con tutto il know-how acquisito negli anni, quale sarebbe la prima cosa che faresti?
L: Tornerei a tenere degli incontri, offline oppure online, sui temi che mi interessano.
Ho cominciato così il mio percorso nel growth hacking. Ai primi Meetup eravamo in quattro: gli organizzatori ed io. Dopo due anni, ho parlato dello stesso argomento su una piattaforma che conta oltre ventimila clienti paganti, tenendo un corso di circa otto ore, insieme a due co-autori.
M: E se, invece, potessi tornare indietro nel tempo, cosa cambieresti del tuo percorso professionale?
L: ⦰
M: Che aggettivo useresti per descriverti al meglio a livello caratteriale? E perché?
L: Vulcanica: sono fuoco e luce.
A volte, mi scappa il magma dalle mani: sono intensa.
Esterno i miei sentimenti, sia in positivo che in negativo. Quando mi innervosisco, è importante lasciarmi sfogare e non ostacolare l’eruzione, anche perché sarebbe inutile.
Dopodichè, nessun rancore: no strings attached.
M: Oggi ricevi 10.000 euro da investire sul tuo personal branding. Quale canale digitale o tradizionale useresti? E perché?
L: Ibrido: la tecnologia integra, la tecnologia non sostituisce.
Sceglierei una tetrarchia di palco+microfono da un lato, e LinkedIn+Instagram dall’altro. È ciò cui già mi dedico abitualmente: semplicemente, lo farei con un booster di maggiore efficacia, chiedendo l’aiuto di colleghi più esperti di me in comunicazione.
M: Ricevi l’annuncio di chiusura da parte di tutti i servizi digitali che di solito utilizzi (tool, blog di terze parti, piattaforme, web apps, social network, etc.). Hai a disposizione un solo salvataggio. Cosa sceglieresti e perché?
L: Spotify, perché vivo ascoltando la musica: assai e di genere diverso.
M: C’è qualcosa che proprio non ti piace del “mondo” digitale, in particolare del settore startup? Se sì, cosa?
L: C’era qualcosa che non mi piaceva a Berlino, e anche per questo motivo decisi di andarmene.
Dieci anni fa, l’afflusso di capitali nella Silicon Valley era ingente: una bolla speculativa. Devo molto al settore startup: ha plasmato il mio rapporto con il fallimento.
Mi ha insegnato che fatto è meglio che perfetto, che regna l’incertezza la più assoluta, e che la potenza è nulla senza controllo.
Quello che non mi piaceva era vedere chi nel giro di un semestre fondava una startup, licenziava le persone assunte sei mesi prima, chiudeva tutto e poi ricominciava con un altro progetto.
Vedevo i colleghi più giovani sbandare, e un sistema dopato che non lasciava nulla. Il fallimento è parte del successo, se intendi conseguire successo; se, invece, vuoi sfruttare i capitali per dire che sei CEO dell’aria fritta, è un’altra cosa. Io prediligo chi, come Orazio, vuole costruire un monumento più perenne del bronzo.
M: Qual è stata, secondo te, l’innovazione che ha contribuito più significativamente all’evoluzione del digitale lasciando fuori quelle più scontate come i computer, gli smartphone e internet?
L: “Covid-19 became our Chief Innovation Officer”.
M: Qual è, oggi, la più grande minaccia professionale di chi si occupa di Growth Marketing?
L: Pronunciare “Growth”!
Vivo allenando la mia attitudine a mantenersi reattiva al cambiamento e alle nuove sfide. Non posso né voglio stare a pensare ai cigni neri: ci penso nel momento in cui me li trovo davanti.
Resto pronta, così non devo diventare pronta.
M: Parlando del tuo ruolo all’interno delle tantissime realtà con cui collabori, quali sono le sfide che affronti quotidianamente?
L: Io striglio. Forte. Sono pagata per disciplinare. Individuo il non necessario, che in una strategia aziendale non soltanto è superfluo, ma è ostativo.
In breve, indico dove e come stiamo perdendo risorse –tempo e denaro– e fornisco le alternative per ottimizzare il processo di crescita e renderlo più efficace nel minor tempo possibile.
Saper muovere una critica non è un lavoro per chiunque: la parte distruttiva deve essere affiancata dalla parte costruttiva, e soprattutto deve essere ben argomentata.
Ricordo una conferenza stampa di Mourinho, poco dopo il trasferimento da Milano a Madrid: “Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio. Devi capire di biochimica, biologia, anatomia, statistica, leadership… ci sono molte aree che ti aiutano a diventare un allenatore migliore.”
Quando entro in una stanza, offline oppure online, so che le persone si aspettano che io coordini questo processo, e per farlo devo analizzare loro: le persone, perché sono le persone a portare avanti i progetti.
Come mentore, se avessi la preparazione tecnica da Super Saiyan e non fossi in grado di propagare il messaggio, sia io che il mio lavoro saremmo inutili. Per trasmetterlo, mi devo eclissare: a brillare devono essere le/i mentees, non io.
M: Attualmente sei, tra i vari ruoli, anche una mentor di Sprint Factory, lo Startup Incubator di Bari. Una realtà che ho avuto modo di conoscere personalmente e che sta facendo grandissime cose nonostante operi in una zona dell’Italia lontana dai volumi economici di alcune città del nord. Secondo te, cosa servirebbe all’ecosistema delle startup in città del centro-sud Italia per poter fare un salto di qualità simile a quello fatto in passato da città come Milano o Torino?
L: Dovremmo prima chiarire cosa intendiamo per salto di qualità, perché a mio parere sono Milano e Torino che ora guardano a Bari!
Quello di cui abbiamo bisogno lo abbiamo già, non serve cercarlo altrove.
Le persone: la chiave è sempre lì.
Tre anni fa, appena tornata da Berlino, a Bari non c’era nulla. Neppure si parlava di marketing digitale, per come lo intendiamo tu ed io.
Adesso, c’è un incubatore certificato dal Ministero dello Sviluppo Economico, c’è una squadra di mentori –in cui mi sento resident dj– e c’è una città che traina una regione, che a sua volta traina il sud Italia.
E mentre faccio il lavoro che mi piace insieme alle persone che mi piacciono, mi godo direttamente dai raggi dal sole la vitamina D che i miei amici a Berlino assumono in compresse, sto vicino alla mia famiglia, vivo il mare e mi muovo in bicicletta.
Qual è la tua definizione di qualità della vita? [Alexa, play: California Love].
Mi piacerebbero delle figure di riferimento nell’imprenditoria femminile, in grado di discutere di pari opportunità, equità salariale, innovazione tecnologica, che abbiano avuto anche esperienze lavorative internazionali. Con alcune amiche ci siamo guardate attorno: non le abbiamo trovate.
Così, abbiamo deciso di diventarle noi e abbiamo legalmente costituito un’associazione: Puglia Women Lead. Il futuro adesso ce lo andiamo a prendere noi e lo facciamo restare qui. Perché noi in Puglia vogliamo restarci e vogliamo restarci al meglio.
M: Sei una “multipotentialite” così come la definisce Emilie Wapnick. Hai diverse passioni, hai studiato diverse discipline, hai esperienze lavorative e di vita molto differenti tra di loro e i vari ruoli che ricopri ti permettono di essere in contatto con professionisti di valore in molti ambiti e quindi di essere costantemente contaminata. Da qui nascono due domande che mi hanno fatto in passato e che desidero girare a te: esiste un reale e concreto vantaggio nel lavorare affianco a un profilo come il tuo rispetto a chi ha avuto un percorso lavorativo e personale più “lineare”? E, passando spesso da un ambito a un altro, da un ruolo all’altro, non c’è il rischio di diventare tuttologi senza ottenere alla fine una competenza specialistica?
L: La ricchezza nasce dalla diversificazione: io amo lavorare con chi è specialista , ed è così che nasce la squadra migliore.
Sono abituata alle persone esperte di una cosa sola: nutro rispetto, a volte perfino una sana invidia generativa nei loro confronti, perché stan bene così senza desiderare altro.
È solo che a volte perdono di vista il viaggio, e lì li posso aiutare io.
Sai come quando si è in auto? All’autista, può sfuggire il panorama, perché non ha tempo di guardare il paesaggio, in quanto resta concentrato alla guida, e questo è bene per tutto l’equipaggio.
Ecco, io contribuisco agendo sull’itinerario e soprattutto sulla traiettoria. Sono chiamata ad avere una visione d’insieme, e in questo compito sono eccellente. So come correggere il tiro, cioè come ottimizzare il viaggio e renderlo quanto più proficuo possibile, sulla base degli interessi concordati.
Non ho mai pensato di poter risultare una tuttologa, dunque non lo sono mai diventata.
Ho scelto di proposito il mantello growth, perché calzava a pennello sulla mia multipotenzialità. Io ho scelto che non volevo scegliere, e questa carriera mi ha dato ciò che cercavo: sono libera di poter parlare di prodotto e di comunicazione, di intervenire sui processi progettuali e commerciali, di poter lavorare nella strategia e nell’esecuzione, nella formazione e nella consulenza. Soprattutto, sono libera di poter seguire progetti vari e differenti, e fare una parte del viaggio assieme a ciascuno di loro.
Sono un po’ come Mary Poppins: arrivo, aiuto, e quando finalmente mi sono resa inutile –spero sempre di diventarlo il prima possibile– riparto.
M: Prima di passare all’ultima domanda a chiusura di questa intervista sono proprio curioso di sapere come e, conoscendoti, dove ti vedi tra 5 anni?
L: Dove c’è il mare e dove c’è il sole, e anche ottimo pesce crudo e caffè espresso.
M: L’ultima domanda riguarda sia la sfera personale che professionale. Molte volte sono stato tradito dalla fiducia che avevo riposto nelle persone, soprattutto colleghi. In base alle tue esperienze, ci può essere un rapporto sincero tra due professionisti che si occupano della stessa materia? Se sì, quale consiglio ti senti di dare?
L: Absofuckinglutely.
Prendiamo te e me come esempio, per cominciare?! Il fisco classifica la mia partita IVA come “ditta individuale”, eppure ti considero un collega.
Lo faccio, perché ritengo che la crescita sia un lavoro di squadra. Uso spesso la parola “collega” per donne e uomini che operano nel settore marketing, pur se con focus differente. Tre anni fa, tornata a Bari da Berlino, ricevetti una richiesta contatto su LinkedIn da parte di una persona; come me, barese e appena tornata da fuori: Sonia.
Le dissi: “vieni a casa, sali da me, conosciamoci”.
Lo dico spesso, lo faccio altrettanto. Dovresti saperlo pure tu 😝
Invito le persone nella mia vita, così vedo prima e vedo meglio. La fiducia è la valuta più rischiosa e anche la più redditizia.
Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura: quando incontro una o un collega, offline o online, non penso mai alla competizione; al massimo, penso all’integrazione, alla collaborazione e alla complementarietà.
Se prendo un abbaglio, mi ricordo che sono umana, che posso sbagliare, e che le premesse da me poste in essere sono corrette. È altrui, eventualmente, la scelta di comportarsi in modo scorretto.
Il mio consiglio è: non viviamo in paura, viviamo in fiducia. E come diciamo a Bari: “poi capiamo”.
M: Grazie Lara per le bellissime risposte e per il tempo che hai dedicato ai miei lettori in primis e a me.
E grazie a te, lettore, per essere arrivato fin qui.
A presto,
Mirko.
© Mirko Maiorano